San Leo, la fortezza del mago nel cuore della Romagna | SubitoNews

San Leo, la fortezza del mago nel cuore della Romagna

San Leo, la fortezza del mago nel cuore della Romagna

San Leo fu frequentato da Dante Alighieri e San Francesco e deve il suo nome all’eremita dalmata Leone che con Marino contribuì all’avvento del cristianesimo nel Montefeltro. Il forte ospita anche il museo degli strumenti di tortura.

San Leo, la storia

I Romani costruirono una prima fortificazione sul culmine del monte. Leone e il compagno Marino giunsero dalla Dalmazia, sul finire del III secolo, propagando il cristianesimo fino alla nascita della Diocesi di Montefeltro. Leone è considerato il primo Vescovo di Montefeltro, anche se l’istituzione della Diocesi risale, probabilmente al periodo fra VI e VII secolo. Il primo vescovo è documentato soltanto nell’826. La fortezza, durante il Medio Evo, fu oggetto di contesa da parte di Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi. Berengario II venne qui stretto d’assedio da Ottone I di Sassonia, tra il 961 e il 963.

Dal Medio Evo in poi

Federico da Montefeltro nel 1441 affidò al grande architetto e ingegnere senese Francesco di Giorgio Martini il compito di ridisegnare la rocca secondo le nuove esigenze di guerra. La nuova forma prevedeva una risposta al fuoco secondo i canoni di una controffensiva dinamica che potesse garantire direzioni di tiri incrociati. Nel 1502, Cesare Borgia, detto il Valentino, sostenuto da Papa Alessandro VI, riuscì ad impadronirsi della fortezza. Guidobaldo da Montefeltro nel 1503 ritornò in possesso dei suoi domini sino al 1516, quando le truppe fiorentine di Antonio Ricasoli fecero capitolare la fortezza. I Della Rovere ripresero San Leo nel 1527 e la tennero sino alla devoluzione del Ducato di Urbino al dominio diretto dello Stato Pontificio nel 1631.

La fortezza dal 1631

San Leo diventò un carcere nel quale furono imprigionati patrioti risorgimentali come Felice Orsini e liberi pensatori come Cagliostro. Giuseppe Valadier, nel 1788, nominato da Pio VII, apportò le necessarie migliorie all’intera struttura carceraria. Anche dopo l’Unità d’Italia, la fortezza continuò ad assolvere la sua funzione di carcere, fino al 1906. In seguito, per otto anni, ospitò una “compagnia di disciplina’’ fino al 1914.

Le caratteristiche di San Leo

Il centro medievale conserva gli edifici romanici, Pieve, Cattedrale e Torre Campanaria, mentre i palazzi residenziali hanno subito numerose trasformazioni principalmente durante il periodo rinascimentale. L’abitato storico si estende intorno alle chiese che si affacciano sulla piazza centrale, intitolata a Dante Alighieri, ed è composto da: il Palazzo Mediceo, la residenza dei Conti Severini-Nardini, il Palazzo Della Rovere, la Chiesa della Madonna di Loreto. I due torrioni, il muro di cinta ed il mastio delimitano la cosiddetta piazza d’armi. Attualmente gli ambienti della fortezza ospitano un museo d’armi e una pinacoteca.

Il conte di Cagliostro

La Fortezza di San Leo è legata soprattutto alla vita del famoso mago ed alchimista Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro. Dopo aver vissuto nelle corti più importanti d’Europa, dove strinse amicizie con personalità come Schiller e Goethe, terminò la sua esistenza proprio nell’inespugnabile Fortezza di San Leo. La cella costruita per lui è chiamata la “cagliostrina” o “cella del pozzetto”: una botola con una sola apertura sul soffitto, di 2 metri quadrati, con un unico punto d’aria rappresentato da una finestra. Nato a Palermo nel 1743, visse di espedienti in gioventù, diventando un personaggio di spicco negli ambienti massonici dell’epoca. Alla corte di Versailles conobbe il potentissimo cardinale di Rohan che lo coinvolse in un complotto che diffamò la regina Maria Antonietta e aprì la strada alla rivoluzione francese. Sfidò apertamente la Chiesa fondando a Londra una loggia di rito egiziano.

L’arresto e l’inizio della leggenda

Cagliostro viene arrestato il 27 dicembre 1789 e rinchiuso a Castel Sant’Angelo. Il processo finì il 7 aprile 1790 con l’emissione di una condanna a morte per eresia e attività sediziose e con la distruzione dei manoscritti e degli strumenti massonici. Papa Pio VI lo graziò e gli commutò la condanna nel carcere a vita, da scontare nelle prigioni di San Leo. In seguito ad alcune voci sull’organizzazione di una fuga da parte di alcuni sostenitori di Cagliostro, il conte Semproni, responsabile del prigioniero, decise il suo trasferimento nella cella del Pozzetto, ritenuta ancor più sicura e forte di quella detta del Tesoro. Del lungo periodo di reclusione, durato più di quattro anni, rimane testimonianza nell’Archivio di Stato di Pesaro.
Il 26 agosto 1795, oramai gravemente ammalato, si spense a causa di un colpo apoplettico. L’atto di morte redatto dall’arciprete Luigi Marini, rende giustizia alla veridicità delle vicende.