Mir fa la stroria con la Suzuki, la MotoGP resta spagnola

Mir fa la stroria con la Suzuki, la MotoGP resta spagnola

Joan Mir riscrive la storia del Motomondiale. Al secondo anno nella MotoGP, il 23enne maiorchino (come Jorge Lorenzo e il tennista Rafa Nadal), conquista il titolo nella stagione più folle, condizionata dal Covid e dal grave infortunio di Marc Marquez, e riporta la Suzuki sul tetto del mondo vent’anni dopo l’ultima volta (Kenny Roberts jr nel 2000). Un Mondiale figlio della continuità, arrivato con il 7° posto nel penultimo appuntamento a Valencia, e con un solo successo (La settimana prima sulla stessa pista, il primo della carriera in top class) ma anche 7 podi in 13, tutti conquistati nelle ultime 9.

Mir ha sfruttato una moto “facile”, il clima sereno costruito nel team da Davide Brivio, l’artefice dei successi Yamaha di Valentino Rossi chiamato dalla Suzuki nel 2013 per riportare nel Mondiale, lasciato nel 2011 per una crisi di risultati e soprattutto economica (post 2008). Ma il maiorchino, che porta a 9 i titoli consecutivi della MotoGP per piloti spagnoli (6 di Marquez, 2 di Lorenzo, 1 suo), ha anche demolito psicologicamente la concorrenza. Fabio Quartararo, che s’è perso dopo il grande avvio, anche per i problemi tecnici della Yamaha, come d’altronde il prossimo compagno di squadra nel team ufficiale Maverick Viñales, mentre Valentino Rossi ha faticato ad arrivare al traguardo tra cadute, rotture e due gare perse per il Covid. Per non parlare di Andre Dovizioso, destabilizzato e triste per la rottura umana prima che tecnica con la Ducati e alle prese con una moto che non sentiva più sua per colpa del mancato adattamento con le nuove gomme Michelin.

Un grandissimo Mir

Al contrario Mir dalla quarta gara non ha più praticamente sbagliato nulla, dimostrando una grande maturità e forza mentale. Incredibile, pensando che Joan è arrivato nel Motomondiale solo nel 2016, conquistando il titolo della Moto3 nel 2017 (con dieci successi di tappa), e affrontando solo una stagione in Moto2 prima di approdare in MotoGP nel 2019, come grande scommessa della Suzuki. Scommessa vinta, con la Casa di Hamamatsu pronta ad aprire un ciclo, sfruttando anche la forza dell’altro pilota, quel Alex Rins spagnolo anche lui, frenato da un infortunio simile a quello occorso a Marquez nella stessa gara d’apertura a Jerez. Senza contare le notizie allarmanti che arrivano sullo stato di salute del campione della Honda, alle prese con un rucupero molto più lento del previsto dal secondo intervento all’omero destro.

L’Italia, che ha molto peso nel trionfo Suzuki (il brianzolo Davide Brivio ha costruito un team con molti italiani e base a Monza), ha però trovato quest’anno un motivo per gioie e guardare al futuro con ottimismo: Franco Morbidelli. Il romano pupillo di Valentino Rossi a Valencia ha conquistato la terza vittoria grazie a un duello brutale all’ultimo giro con l’australiano Jack Miller, prossimo titolare Ducati, issandosi al secondo posto della classifica mondiale. Incredibile pensando alle sfortune patite in stagione (motore rotto a Jerez, gli incidenti senza colpa con Zarco in Austria e Aleix Espargaro a Misano) e ancor più al fatto che guida una Yamaha vecchia, la M1 del 2019. E così farà anche il prossimo anno, con Valentino compagno di squadra in Petronas.