La guerra dei rimborsi per i viaggi annullati dal Coronavirus
Pacchetti turistici, alberghi, viaggi, biglietti aerei e di treni… Tutto cancellato dal Coronavirus, ma prenotato e pagato prima che l’emergenza scoppiasse. In questi giorni è corsa al rimborso, con pressanti richieste di restituzione dep pagamenti per i viaggi annullati, a fronte dei quali gli operatori turistici propongono voucher sostitutivi. Il problema è che mentre la normativa europea in questi casi tutela il consumatore, il decreto “Cura Italia” del Governo prende la parte delle aziende del turismo, uno dei settori più colpiti dalla pandemia.
Il comma 5 dell’articolo 28 del decreto legge n. 9 del 2 marzo 2020 prevede che in caso di recesso da parte del consumatore l’operatore possa offrire un pacchetto alternativo, restituire il prezzo, emettere un voucher a favore del consumatore. Tre opzioni, ma la scelta non spetta al consumatore. Il Codice del turismo (D.lsg. 79/2011), che ha recepito la direttiva europea 2008/122/CE, dice invece che il consumatore che non possa, per esigenze o scelte personali, fruire del voucher e può pretendere il rimborso del viaggio annullato senza penalità.
Da questa divergenza di norme è probabile che possa scaturire una valanga di cause contro gli operatori turistici, con un ulteriore aggravio di spese per i consumatori, ma anche il pericolo che tutto ciò possa dare il colpo definitivo a un settore che sta patendo molto più di tanti altri e che, dopo aver perso la primavera, compresa Pasqua e il ponte del Primo Maggio, sta guardando con terrore all’estate che si avvicina. E in caso di fallimento i consumatori, anche se con ragione, rimarrebbero con nulla in mano. Ecco perché alla fine, un po’ all’italiana se vogliamo, il consiglio è quello di cercare di raggiungere un accordo tra le parti (consumatore e operatore turistico) che arrechi a ognuno il minor danno possibile.