Il divario retributivo tra donne e uomini nel settore pubblico e privato in Italia
Il divario retributivo di genere è una realtà ancora profondamente radicata nel mercato del lavoro italiano. Nonostante i progressi normativi e le iniziative per promuovere l’uguaglianza, le donne continuano a guadagnare significativamente meno degli uomini.
In media, la differenza salariale tra i sessi si attesta intorno agli 8.000 euro annui, equivalente a un mese di lavoro non retribuito rispetto ai colleghi maschi. Ma perché questa disparità persiste?
Uno dei principali fattori è la prevalenza del lavoro part-time tra le donne, spesso imposto dalle responsabilità familiari e domestiche che gravano principalmente su di loro. Questo riduce le ore di lavoro retribuite, limitando le opportunità di carriera e di guadagno.
A ciò si aggiunge la concentrazione delle donne in settori a basso salario, come l’assistenza e l’istruzione, e la loro scarsa rappresentanza nelle posizioni dirigenziali e nei settori ad alta remunerazione, come la finanza e la tecnologia.
Qual è il divario retributivo tra uomini e donne in Italia?
La disparità di genere non si esaurisce qui. Esistono discriminazioni retributive dirette che penalizzano le donne a parità di ruolo e mansioni. Questo fenomeno, noto come “soffitto di cristallo”, è particolarmente evidente nei ruoli dirigenziali, dove le donne rappresentano solo il 17% dei dirigenti nel settore privato, e appena il 2% ricopre il ruolo di amministratore delegato.
Non sorprende quindi che, con l’avanzare dell’età, il divario retributivo tenda ad ampliarsi, penalizzando ulteriormente le donne, soprattutto quelle con figli.
In Italia, il divario retributivo di genere nel settore privato raggiunge il 24,4% per le lavoratrici oltre i 50 anni. Anche nel settore pubblico, dove il gap è generalmente inferiore, le donne guadagnano comunque meno degli uomini nelle fasce d’età più avanzate.
A livello europeo, la differenza salariale media si attesta intorno al 13%, e nonostante le iniziative legislative e le campagne di sensibilizzazione, questo divario rimane sostanzialmente invariato negli ultimi dieci anni.
Come si fa il calcolo retributivo?
Il calcolo del divario retributivo di genere può avvenire attraverso due approcci: il gap “non rettificato” e quello “rettificato”. Il primo misura la differenza media tra i salari di uomini e donne senza considerare fattori come il ruolo lavorativo o l’anzianità, riflettendo in modo diretto le disuguaglianze strutturali.
Il secondo, invece, tiene conto di queste variabili e cerca di isolare la componente di discriminazione pura. In entrambi i casi, i risultati evidenziano una disparità salariale significativa che non può essere giustificata da differenze di merito o produttività.
Il principio di parità retributiva, sancito sia dalla legislazione italiana che da quella europea, prevede che uomini e donne debbano ricevere la stessa retribuzione per lavori di pari valore. Tuttavia, la realtà è ben diversa. La direttiva europea del 2023 sulla trasparenza retributiva ha introdotto nuove regole che obbligano i datori di lavoro a fornire informazioni dettagliate sulle politiche salariali e a garantire che le retribuzioni siano determinate in modo equo e trasparente.
In Italia, le aziende con oltre 100 dipendenti sono già tenute a redigere un rapporto biennale sulla situazione retributiva del personale maschile e femminile. Tuttavia, la strada verso una vera parità salariale è ancora lunga.
Oltre alle misure normative, è necessario un cambiamento culturale profondo, che coinvolga le istituzioni, le aziende e la società nel suo insieme. Solo abbattendo gli stereotipi di genere e promuovendo un accesso equo alle opportunità di carriera, si potrà sperare di ridurre, e infine eliminare, il divario retributivo di genere in Italia.