Dio è morto, spiegazione del testo di Guccini
Uno dei cantautori più influenti della storia della musica italiana. Francesco Guccini, nato a Modena nel 1940, è uno dei cantanti di protesta più conosciuti degli ultimi cinquanta anni. La sua carriera inizia verso la fine degli anni ’50 e da lì non si è mai fermata. L’ultima raccolta, Note di viaggio capitolo due, risale al 2020. I suoi brani passati alla storia sono moltissimi e tra questi troviamo ‘Dio è morto’. Fu scritto nel 1965 ed è ispirato al poema di Allen Ginsberg “L’urlo”. Il titolo del brano, invece, trae ispirazione dal mito di Nietzsche della Morte di Dio. I Nomadi reinterpretarono la canzone e la pubblicarono nell’album Per quando noi non ci saremo. La stessa cosa successe con Caterina Caselli nell’LP Diamoci del tu.
Dio è morto, l’interpretazione del testo
Il testo parla dei cambiamenti in corso nella società degli anni ’60. In quel periodo regnava il senso di sfiducia verso tutto ciò che era caposaldo per le generazioni precedenti. Come scritto in precedenza, le prime frasi del testo sono ispirate all’incipit dell’Urlo di Ginsberg. La denuncia è nei confronti del conformismo e del carrierismo. Un brano che, ad ascoltarlo oggi, risulta ancora attualissimo. Dio, quindi, è morto nell’alcolismo, nella droga, nell’urbanizzazione, nell’abuso e nella violenza. “Ai bordi delle strade Dio è morto, nelle auto prese a rate Dio è morto”.
I problemi con la censura
Il brano di Guccini ebbe anche qualche problema di censura. Infatti, la Rai ritenne il testo blasfemo e decise che non l’avrebbe trasmesso. Al tempo le radio private ancora non esistevano e il successo del brano divenne un caso studio molto particolare. E poi, il paradosso. La canzone venne trasmessa ripetute volte da Radio Vaticana e alcune indiscrezioni dicono che il papa Paolo VI lo apprezzasse particolarmente. Il testo parla infatti di un Dio metaforico e non dell’entità divina descritta dalla Bibbia.