Il capitalismo della sorveglianza e la riscoperta della tecnologia
Shoshana Zuboff lo chiama «capitalismo della sorveglianza». La psicologa sociale della Business School di Harvard definisce così il modello economico contemporaneo delle grandi imprese digitali, che utilizzano i principi della psicologia comportamentale per manipolare le reazioni dei consumatori e massimizzare i loro profitti. In pratica la spinta a utilizzare gli studi di psicologia comportamentale per fini di lucro. Parliamo ovviamente di giganti come Google, Facebook e Amazon che raccolgono continuamente informazioni su di noi per capire i nostri gusti. Una vera e propria sorveglianza che invece di aumentare la felicità umana, come promesso, crea profitto per i Big del Tech.
Non a caso da tempo si parla di leggi anti-sorveglianza per impedire l’accumulo sconsiderato di dati personalizzati. La pandemia da Coronavirus però ha aperto nuovi e inediti scenari, con la necessita di controllare e tracciare gli spostamenti delle persone per motivi sanitari e di tutela della cittadinanza. App simili sono state prodotte e utilizzate rigidamente in Cina e Corea, ma anche in Italia governatori e protezione civile hanno avuto accesso ai dati telefonici per verificare il non rispetto delle limitazioni. Numeri che hanno prodotto decisioni ancora più drastiche, anche se non portato a un tracciamento individuale e all’applicazione di conseguenze. Insomma, l’emergenza di questo terribile 2020 ci insegna a non demonizzare la tecnologia, uno strumento portentoso a patto di regolarne e limitarne l’uso per non permettere a chi ne detiene i mezzi di produzione (e ne fa uno strumento di profitti) di avere un controllo sugli utenti.