Addio a Ezio Bosso, il pianista che ha messo in musica la malattia
Ezio Bosso se n’è andato a 48 anni lasciando un vuoto immenso. Torinese, formatosi a Vienna sotto la guida di Ősterreicher e Streicher, è morto nella sua casa di Bologna per la malattia neurodegenerativa che lo affliggeva da anni, senza per altro fermarlo. Direttore d’orchestra, compositore e pianista, Bosso era diventato famoso quando nel 2016 fu invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo. Sul palco del teatro Ariston, il musicista eseguì “Following a Bird”, composizione contenuta nell’album The 12th Room, che dopo quell’esibizione, applauditissima, finì subito in classifica. «Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria – raccontò -. Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritto, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene».
Uno dei sui tanti insegnamenti sulla musica e la passione, con un entusiasmo contagioso. «La musica ci cambia la vita e ci salva. Le persone che vengono ospiti da me, entrano da personaggi e escono da persone. La bacchetta mi aiuta a mascherare il dolore e non è una cosa da poco» aveva detto recentemente il direttore stabile e artistico della Europa Philharmonic Orchestra.
L’ultima apparizione pubblica televisiva di Ezio Bosso risale alla sera di Natale, con una serata su Rai 3 dedicata a Cajkovskij e Mozart. «Ascoltate a tutto volume il nostro concerto, dobbiamo disturbare i vicini e riempire l’Italia di questa musica meravigliosa. La nostra forza sarà la televisione, ma non in casa, deve uscire dalle case. L’arte e la bellezza sono contagiose: così cambieremo il mondo» aveva detto prima di iniziare a dirigere. Il suo grande successo, superando anche i pregiudizi legati alla sua malattia.
Bosso amava definirsi «un uomo fortunato salvato dalla musica». E la leggerezza. Quella speciale, che solo lui, appesantito dalla malattia, sapeva cogliere. «Essere leggeri, prendersi in giro, è una cosa seria. Se non ci si prende in giro, non si può essere seri. Quando non mi ricordo il nome di un musicista e faccio una figuraccia è una cosa bella». Come il mondo con la musica. La sua, soprattutto.