Messina, falsi matrimoni per il permesso di soggiorno
Finti matrimoni per far ottenere il permesso di soggiorno al costo di 10mila euro. È quanto scoperto da un’inchiesta della Guardia di Finanza di Messina che ha portato a ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 16 persone (5 delle quali in carcere e 11 agli arresti domiciliari), promotori e membri di due gruppi criminali, con base nella città siciliana, dediti al favoreggiamento dell’ingresso-permanenza clandestina di cittadini extracomunitari irregolari sul territorio italiano.
La cifra veniva pagata dai cittadini stranieri in contanti o attraverso i servizi di money transfer. I pagamenti venivano eseguiti da persone apparentemente non coinvolte nella vicenda, ma vicini ai membri del gruppo criminale. Dei diecimila euro, circa due o tremila andavano al finto coniuge, mentre il resto veniva diviso tra intermediari, testimoni di nozze e interpreti. Un giro d’affari di oltre 160mila euro.
Attori habitue per celebrare i matrimoni
Nell’organizzare i falsi matrimoni, secondo i finanzieri, venivano impiegati interpreti “affezionati” e una rete di persone italiane, principalmente donne, in condizioni economiche difficili che venivano coinvolte prima per essere destinate a false nozze e poi per reclutare altri sposi. L’inchiesta è partita da false dichiarazioni rese da cittadini italiani a pubblici ufficiali in riferimento al loro status di celibe-nubile. Sin dai primi rilievi i finanzieri hanno riscontrato anomale ricorrenze in alcuni matrimoni tra italiani e stranieri, come testimoni di nozze e interpreti presenti in più cerimonie.
Gli inquirenti hanno così scoperto le due organizzazioni criminali attive tra Messina e il Marocco, facenti capo a due cittadini marocchini: un 36enne detto Samir e un 51enne detto Abramo. I due si occupavano di organizzare i viaggi in Marocco dei finti sposi e di assistere le coppie durante le pratiche burocratiche, antecedenti e successive al falso matrimonio: dalle pubblicazioni al divorzio una volta ottenuta la cittadinanza. La donne italiane a disposizione per l’operazione venivano chiamate “pecore”. Dei collaboratori si occupavano delle procedure burocratiche relative alla preparazione del matrimonio e alle successive fasi necessarie per l’ottenimento della documentazione a favore dei cittadini extracomunitari.