Fermato per violenza sessuale il fondatore di Facile.it
«Ho bisogno di curarmi». Così si è difeso davanti al giudice Alberto Maria Genovese, il fondatore della start-up assicurativa Facile.it (ceduta nel 2014 per 100 milioni di euro) accusato di violenza sessuale nei confronti di una 18enne aspirante modella, sequestro di persona e lesioni, detenzione e cessione di stupefacente.
Il 43enne imprenditore bocconiano, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe violentato la giovane dopo averla drogata a una festa privata a casa sua, nel cuore di Milano, lo scorso 12 ottobre. Un calvario per la giovane di venti ore, mentre era tenuta legata mani e piedi al letto con una cravatta. Eppure Genovese davanti al gip Tommaso Perna ha dichiarato senza mostrarsi contrito: «Non è colpa mia È stata la droga, sono vittima di una spirale che mi ha messo sempre più in difficoltà » ha sostenuto l’imprenditore, mentre la sua vittima è stata ricoverata alla clinica Mangiagalli con una prognosi di 25 giorni, senza contare le conseguenze psicologiche. «Chiedo di disintossicarmi perché da quattro anni sono dipendente dalla cocaina – ha proseguito il fondatore di Facile.it -. Quando sono sotto gli effetti della droga non riesco a controllarmi e non capisco più quale sia il confine tra ciò che è legale e ciò che è illegale. Ho bisogno di curarmi».
Le dichiarazioni del Fondatore di Facile.it
Genovese ha anche sostenuto che pensava «di essere innamorato», spiegando: «Ogni volta che mi drogo ho allucinazioni e faccio casino, faccio cose di cui non ho il controllo, spero di non aver fatto cose illegali…. Sono una persona a posto che non farebbe mai nulla di male. Voi avete scavato solo nella parte cattiva della mia vita ma per il resto sono una brava persona… Non voglio drogarmi, se non mi drogo non faccio nulla di male, non l’ho mai fatto. Quando mi drogo non mi controllo».
Il giudice però ha bollato Genovese di arroganza. Quando gli agenti hanno bussato alla sua porta non voleva aprire e ha pronunciato la classica frase “non sapete chi sono io”, chiamando il suo avvocato. Le prove dello stupro però erano ancora lì, in casa: i vestiti della ragazza, insanguinati come le lenzuola, telecamere con i filmati che i poliziotti guidati dal dirigente Marco Calì hanno faticato a vedere per la ferocia e l’accanimento.
Secondo il gip, «Genovese sarebbe del tutto incapace di controllare i propri impulsi violenti e la propria aggressività sessuale, ed è quindi elevato il pericolo che la propensione a delinquere possa trovare ulteriore sfogo in altri fatti illeciti». E ci sarebbe anche un concreto pericolo di fuga, visto che l’imprenditore in una telefonata con la madre avrebbe parlato di una fuga in Sudamerica con il suo jet privato.